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Germoglio n. 4 del Centro di documentazione "Semi sotto la neve"

MAKOTO ODA e ICHIGO ICHIE - Ogni incontro è irripetibile

La prima traduzione in lingua straniera dell'ultimo romanzo di Makoto Oda "Ichigo ichie - Ogni incontro è irripetibile" è uscita dalla casa editrice romana DeriveApprodi in collaborazione con Centro di documentazione.
Questo libretto presenta l'autore e il romanzo.
10 novembre 2008

Copertina del volume

 

MAKOTO ODA E

"ICHIGO ICHIE - Ogni incontro è irripetibile"

(DeriveApprodi, 2008)

Avvertenza

Per la trascrizione delle parole giapponesi è stato adottato il sistema Hepburn, secondo il quale le vocali sono pronunciate come in italiano e le consonanti come in inglese.

Si noti in particolare che ch si pronuncia come nell’italiano «ce na»: ichigo ichie si legge "icigo icie"

Il segno diacritico sulle vocali indica l’allungamento delle stesse.

 

 

 

 

 

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DISCORSO FUNEBRE

 


 di Y ū ichi Yoshikawa (critico)

 

Caro Oda,

il giorno in cui te ne sei andato, a Tokyo ci fu un gran tuonare di fulmini. Sembrava che anche il dio del Tuono piangesse la tua morte.

Negli ultimi due, tre mesi, mi sono continuate ad arrivare da parte di numerose persone che non conoscevo, lettere e mail in cui mi si chiedeva di riferirti ringraziamenti o auguri di buona guarigione. Si trattava di messaggi calorosi, mandati da persone che sono riuscite a trovare il loro percorso di vita perché toccate dalle tue parole e dalle tue azioni quando avevano 20, 30 anni, e che in seguito, incoraggiate dalla tua perseveranza e dal tuo comportamento, sono diventate in grado di pensare con la propria testa.

Penso che le numerose persone che oggi hanno preso parte al tuo funerale, abbiano condiviso anche nel loro cuore questo pensiero.   

Io sono convinto che come dice il titolo del tuo ultimo romanzo Ichigo ichie (il titolo originale, Owaranai tabi = Viaggio senza fine), il viaggio nel quale tu hai inaugurato un percorso autonomo, come individuo, libero dall’idea di nazione o di esercito, e di violenza, proseguirà per sempre.

Da quando ti ho conosciuto all’interno del movimento Beheiren 1 , nel 1965, ho lottato assieme a te nelle battaglie civili per circa mezzo secolo.

Si è spesso sentito dire ai tempi del Beheiren che “questo movimento è stato portato avanti grazie alla coppia Oda-Yoshikawa”. Ma ripensando al passato, mi accorgo di essere stato circondato da persone che potevano ben sostituirmi. Dalle generazioni più giovani della mia, sono nate una dopo l’altra, persone di gran lunga più capaci di me. Invece, di persone in grado di sostituire te, non ce ne sono mai state. Tra gli intellettuali che si sono aggiunti al movimento, tu sei stata una figura davvero unica.

A essere onesto, c’erano molti piccoli punti e aspetti su cui mi sono trovato in contrasto con te, e sui quali ti ho trovato incoerente. Spesso, abbiamo anche litigato. Ma tu sei sempre stato l’asse centrale del movimento, la persona su cui riporre la nostra fiducia, perché riuscivi a cogliere l’essenza delle varie situazioni, a spiegare le tue ragioni, e a dare dei giudizi lungimiranti.

Ad esempio, nel 1966 sostenevi che le vittime diventano carnefici, e proprio in quanto carnefici, diventano di nuovo vittime; fu soprattutto questa affermazione a segnare una svolta epocale nella storia dei movimenti pacifisti del Giappone dal 1945 in poi.

In questo modo, la consapevolezza che hai suscitato nelle persone, quella di essere “complici di guerra”, è diventata da quel momento uno dei temi centrali dei movimenti giapponesi.

Anche nei periodi successivi ci sono stati molti scrittori, critici e studiosi che hanno gridato a gran voce il loro “no” alla guerra, nei tanti movimenti che ci sono stati in seguito, a esempio quello contro la Guerra in Iraq.

Tuttavia non conosco, purtroppo, una persona che come te abbia messo a repentaglio la propria vita nel campo di battaglia dei movimenti esponendosi al rischio, e che abbia continuato a lottare assieme ai cittadini, noti o meno noti, instaurando rapporti paritari con tutti.  

Mi riaffiorano nella mente tanti ricordi di scene vissute con te. Ad esempio nel 1968, quando la portaerei nucleare statunitense “Enterprise” stava entrando nel porto di Sasebo 2 , io e te da soli ci recammo là con l’intenzione di noleggiare un aereo civile, portando diecimila volantini da spargere dall’alto sulla portaerei. Purtroppo non riuscimmo a procurarci un velivolo, ma una piccola barca di legno da meno di 3 tonnellate, con cui girammo ripetutamente intorno alla “Enterprise”, che pesava ben 75700 tonnellate. Questa sproporzione, che tu stesso hai descritto poi, sembrava una scena presa da una vignetta. Eppure tu, continuavi a ripetere il tuo appello in inglese, come un giradischi rotto, dicendo di seguire l’esempio dei quattro uomini dell’“Intrepid” e di ritirarsi dagli attacchi in Vietnam 3 e pian piano i soldati uscivano sul ponte per ascoltare.

La sera, distribuimmo i volantini che non eravamo riusciti a gettare dall’alto, in un quartiere di locali notturni a Sasebo, dove si erano ritrovati i soldati sbarcati dalla portaerei. In breve tempo finimmo tutti i volantini grazie all’aiuto degli abitanti del posto che sono venuti ad aiutarci. In seguito abbiamo saputo che i soldati americani erano stati avvisati di fare attenzione al Beheiren, perché era un gruppo affiliato al partito comunista della Corea del Nord. Il giorno seguente, noi avevamo intenzione di fare una dimostrazione da soli, quindi tu iniziasti a scrivere un cartellone sul marciapiede, lungo la strada. Ma dovetti riscriverlo io per via della tua pessima calligrafia. Mentre stavamo preparando il tutto, ci si avvicinavano sempre più persone sconosciute, e chiedevano “È lei il signor Oda? Voglio unirmi anch’io”. E mentre camminavamo, questo schieramento raggiunse le 300 persone, così che quella sera, quelle stesse persone fondarono il “Sasebo Beheiren”.

All’epoca, nelle dimostrazioni o rganizzate dai grandi partiti e dai sindacati, c’era questo monito: “Se accanto a voi ci sono degli sconosciuti, diffidate! Sono spie della polizia o provocatori appartenenti a gruppi violenti di estrema sinistra”; tu invece sollevavi un cartellone in cui c’era scritto “È una dimostrazione cui chiunque può partecipare. Camminiamo assieme, protestiamo contro la portaerei!”. E così le persone si aggregavano sempre più numerose. Ci facevi vedere un nuovo modo di condurre delle battaglie civili, diverso da quelli esistenti.   

Il tuo romanzo Hiemono (Una roba fredda) , che parlava di discriminazioni sociali contro i burakumin , suscitò molte critiche all’interno del movimento, a tal punto da pretendere la sua eliminazione dalla tua raccolta di opere in corso di pubblicazione. Anche tra i giovani attivisti del Beheiren, ce n’erano molti che sostenevano queste accuse.

Non dimenticherò mai la risolutezza della tua posizione. Mentre ci sono numerosi scrittori che appena subiscono qualche critica, finiscono per tacere ed escludere dalle loro raccolte le opere incriminate, tu invece hai proposto di pubblicare il romanzo, assieme ai testi critici, per contribuire al dibattito sociale. Subito dopo questa tua proposta, i detrattori sparirono e non ti restò altro che chiedere una recensione allo scrittore Tetsu Hijikata, esponente dei movimenti contro la discriminazione dei burakumin . È grazie a questa tua presa di posizione se noi oggi possiamo leggere quest’opera .  

I ricordi mi riaffiorano nella mente uno dopo l’altro. Ad esempio nel luglio del 1971, quando scoppiò una rivolta contro la guerra all’interno della base dei Marines americani di Iwakuni, non lontano da Hiroshima, tu ti trovavi casualmente nella città. Ricevuta la notizia della repressione dei rivoltosi a notte fonda, sei riuscito a entrare nella base a bordo di un taxi per andare a incoraggiare i soldati americani. Era comico, perché le auto della polizia che avevano tentato di rincorrerti, furono fermate davanti alla base dai soldati all’ingresso, che erano per puro caso tra quelli contrari alla guerra. Oppure, mi ricordo di quando la manifestazione del Beheiren all’Okinawa day, il 28 aprile 1969, con più di diecimila partecipanti, fu fermata dalla polizia antisommossa a Ginza. Dopo un attimo di incertezza e consultazione tra i partecipanti, sei stato tu a sostenere che manifestare era un diritto dei cittadini, quindi ti sei messo in prima fila esponendoti alle fiamme dei lacrimogeni e delle molotov. E mi vengono in mente, uno dopo l’altro, tanti altri ricordi.   

Dopo la tua morte mi è capitato di sentire che il movimento da te capeggiato “era brillante sì, ma alla fine non è stato forse inconcludente?”. Ma è un’opinione che considera solo gli aspetti superficiali. Dopo il grande terremoto che colpì K o be e dintorni del 1995, sei andato a bussare a tutte le porte dei parlamentari per persuadere il governo ad abbandonare l’idea che non fosse compito dello Stato dare un sostegno economico ai disastrati del terremoto. Così sei riuscito a portare a termine l’attuazione di una legge per dare aiuti pubblici, anche se in forma ridotta, ai disastrati. Questo è uno degli esempi che dimostra che le tue iniziative non erano inconcludenti, ma in grado di portare a risultati concreti.

Nell’ottobre e novembre del 2007, ricorrerà il quarantesimo anniversario dalla famosa fuga dei quattro soldati americani dalla portaerei “Intrepid”, aiutati a fuggire all’estero dal Beheiren. Una vicenda che diede poi seguito ad altri episodi simili di cui si parla nel tuo romanzo Ichigo ichie . Furono dello stesso anno anche gli scontri di Haneda 4 e il suicidio dell’esperantista Ch ū noshin Yui, che si è bruciato vivo per protesta 5 . Noi, il 17 novembre, organizzeremo un’adunata per il seguente motivo, ovvero non per nostalgia ma per ricordare dei fatti dal significato veramente attuale, anche perché viviamo in un momento in cui le truppe giapponesi vengono inviate al fronte in Iraq e Afghanistan in aiuto alle forze statunitensi. Il nostro intento è che questo incontro tracci un percorso di non sottomissione e disobbedienza civile allo stato e all’esercito. Si uniranno a questo progetto molte persone che hanno dedicato assieme a te le proprie forze per aiutare i disertori. Sono convinto che questa iniziativa aiuterà a tenere in vita il tuo spirito  

Voglio infine riferirti un messaggio da parte di uno dei soldati che grazie al nostro aiuto è riuscito a fuggire in Svezia: “Ho spedito dei fiori per il funerale, in segno di umile rispetto e di condoglianze per Oda, un uomo grande quanto un gigante. Oda ha concretamente portato a compimento delle grandi opere in questo mondo. Non ho parole per dire quanto mi sento obbligato verso di lui, e tutti i membri del Beheiren”.  

L’esperienza all’interno Beheiren e la tua amicizia sono stati decisivi per la mia vita.

Grazie.  

Aoyama, Tokyo, 4 agosto 2007   

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ICHIGO ICHIE   COME OPERA AUTOBIOGRAFICA

 

di Nobuhiko Matsugi (scrittore)

 

 

Pubblicato nel novembre dello scorso anno ( Shinchōsha , 2006), il romanzo Ichigo ichie va letto come l’autobiografia di Makoto Oda. Lo penso, ora che lui è scomparso, ricordando le parole seguenti pronunciate dal protagonista verso la metà dell’opera. Pur omettendone una parte, è una lunga citazione, ma leggetela attentamente. Non conosco un altro brano che condensi l’immagine di Makoto Oda in modo più calzante.  

«In ogni caso, il Giappone è stato il protagonista di eventi storici che l’hanno visto uccidere, bruciare, saccheggiare i paesi asiatici limitrofi e le loro popolazioni. È una verità che non ha giustificazioni. Come risultato, a nostra volta abbiamo dovuto subire il tragico peso di eventi storici in cui siamo stati uccisi, bruciati, saccheggiati. Questa, nel complesso, è stata l’età moderna del Giappone, e si è conclusa con la distruzione e il massacro causati unilateralmente dall’esercito di occupazione, dall’America: l’inferno nel quale anch’io mi sono ritrovato. Il massacro da noi compiuto è inammissibile, ma possiamo approvare quello causato dagli americani? No, non possiamo. Se la si pensa in questo modo, rifiutare di prendere parte sia a una storia in cui si uccide, si brucia e si saccheggia, sia a una storia in cui si è uccisi, bruciati, saccheggiati diventa una logica e una morale indispensabile, inevitabile. Il pacifismo che ripudia la guerra in qualsiasi caso, che s’impegna a risolvere problemi e conflitti con la nonviolenza diventa la scelta naturale. E non è strano che lo diventi. Chi più chi meno, è questo che molti giapponesi pensano, si tratti di una precisa consapevolezza o di una vaga sensazione. Per me è stato così.» (pp. 163-164)

[…] La pace è quiete, ma il pacifismo è forza della quiete: questa forza statica è ciò da cui sorge il pacifismo. Prima ti ho detto che il Giappone, dopo essere stato sconfitto nello scontro di forze dinamiche, ha cercato di vivere con questa forza statica, com’era nello spirito del suo popolo. Ma c’è un’altra cosa importante. La pace come quiete è solo mantenimento dello status quo, mentre il pacifismo è legato alla trasformazione. La pace che è conservazione del presente può essere realizzata anche se i potenti opprimono i deboli perché è una pace che implica e presuppone la guerra. Quella del pacifismo è una pace senza potenti che opprimano i deboli, ed è inevitabilmente legata alla trasformazione che, tuttavia, va sempre ottenuta con la nonviolenza, senza armi. La Costituzione pacifista teorizza questi punti e li codifica come sistema legislativo. L’articolo 9 è famoso per il ripudio della guerra e dell’esercito. Eppure, il Giappone non ha intrapreso questa svolta epocale, unica nella storia, con il semplice fine della pace come conservazione dello status quo. Il suo intento era fare di un mondo pieno di guerre, combattute di volta in volta per motivi diversi, un mondo senza più guerra, un mondo veramente di pace. Finché questo obiettivo non viene realizzato, per un paese che ripudia la guerra, elimina l’esercito e vive disarmato è difficile sopravvivere, anzi, è impossibile. Per questo non era strano che il Giappone sostenesse seriamente e reclamasse la necessità di una trasformazione del mondo. Oggi il governo giapponese non lo pensa e non lo reclama più, ma in Giappone ci sono ancora non poche persone che lo fanno: io, ad esempio. Per questo ho partecipato al movimento contro la guerra del Vietnam e ho aiutato i disertori. (pp. 165-166. Capitolo 29)  

A proposito del propugnatore di questo pacifismo, Makoto Oda dichiara: “Sono io”. Questo “io” è il protagonista della finzione narrativa e nel contempo lo scrittore stesso: Oda ha partecipato al movimento contro la guerra in Vietnam e ha aiutato i disertori.

I particolari sono raccontati in Ichigo ichie , dove a essere sottolineata è la volontà dei partecipanti. Tutti loro sono “persone comuni” che di propria iniziativa e senza costrizione alcuna si impegnano anche in un lavoro fastidioso come quello dell’assistenza ai disertori. Gli stessi disertori sono “giovani comuni” che, senza il timore di dure punizioni, disertano perché non vogliono uccidere.

Verso la fine del romanzo Oda afferma che la società del futuro a cui aspira la Costituzione pacifista è una società in cui ognuno ha la possibilità di fare ciò che vuole, vale a dire ha la “libertà di scelta”. La sua realizzazione è tutt’oggi lontana. Tuttavia, leggendo, ho pensato che Oda è un uomo libero assai raro che dalla lontana società del futuro è comparso nella nostra società contemporanea.

Makoto Oda era una “persona comune”, un cittadino, che univa in sé un’eccezionale energia e un ineguagliabile talento innati. Cresciuto a Osaka, la città trasformata in un mondo di morte dall’America, a partire dall’intervento armato americano in Vietnam ha continuato a praticare il pacifismo di cui sopra, e l’ha fatto perché voleva farlo. Schietto, privo di sete di gloria o di potere, come un semplice signore attempato, ha continuato a camminare con passo pesante e rumoroso in un mondo incessantemente preda di fame e guerra, predicendo un futuro certo. A questo punto, non occorre spiegare che il viaggio non ha fine con la sua morte. Makoto Oda ci lascia detto che le persone comuni, tutte, continuano lo stesso viaggio.  
 

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VEDERE OGNI COSA

 

di Marie Miyata (saggista letteraria)  

 

 

Il romanzo O saka Symphony, pubblicato circa 10 anni fa, è un’opera cui Oda si dedicò per oltre 30 anni .

Io che sono nato e cresciuto a Osaka voglio mettere dentro il romanzo questa mia città, in tutta la sua interezza”.

Leggendo come redattore il testo finale dell’opera, ho avuto come la sensazione di vivere nel romanzo e ho compreso finalmente cosa intendeva con quelle sue parole.

Il testo racconta dei giovani che vivevano grazie al mercato nero sorto nella città di Osaka rasa al suolo dai bombardamenti e descrive i detriti rimasti tra la guerra e il dopoguerra. Per Oda, che da ragazzo ha vissuto per ben tre volte i pesanti bombardamenti caduti su questa città, la guerra rappresentava soltanto una violenza che costringeva la gente a morire da vermi. I concetti di “contro la guerra” e di “pace” che Oda mantenne per tutta sua la vita, furono concepiti quand’era ancora giovanissimo.

È molto lirico, bello, ma, Signor Oda, di impatto molto forte!”

Sì, è vero, la sinfonia di O saka Symphony si riferisce a una musica fatta di emozioni incontrollabili. Ti piace, vero?”

È un romanzo che evidenzia la natura più primitiva della sua letteratura. Nel suo caso le esperienze diventano sempre più vivide. Ha prodotto un romanzo pericoloso”.

Oda e io abbiamo scambiato due parole e qualche risata a proposito del romanzo, ma quest’opera che doveva essere molto pericolosa o avrebbe dovuto suscitare polemiche fu accolta dal mondo letterario giapponese con un insolito silenzio o, per meglio dire, con una totale indifferenza. L’opera non ha ottenuto il giudizio meritato.

Me l’aspettavo, ci sono abituato!”. Disse Oda con un sorriso amaro. Mi sembrava che si sentisse terribilmente solo.

Gatō (L’Isola di Guadalcanal) , Hiroshima , D , Osaka Symphony, Aboji o fumu (Calpestando Aboji) * Fukai oto (S uoni profondi ), Owaranai tabi (Ichigo ichie) … tutte le opere lette rarie di Makoto Oda hanno una dimensione molto grande con uno sfondo politico internazionale. Sono delle storie di esseri umani molto comuni, comici e tragici che sono stati travolti dalla voragine politica. I suoi romanzi sono così eloquenti, pieni di energia ed eccessi da sforare gli schemi della letteratura giapponese. Pur riconoscendo il talento dello scrittore, c’erano probabilmente delle tendenze restie ad accogliere le opere integrali (con l’unico caso eccezionale di Calpestando Aboji , coronato dal Premio letterario Kawabata Yasunari). Dopo la morte di Oda, tutti i giornali hanno parlato dei suoi variegati contributi, ma tutti sottolineavano la sua figura come attivista contro la guerra o i movimenti civili, mentre pochi erano i cenni alla sua letteratura, nonostante quello di letterato e di attivista fossero due lati complementari e inscindibili della sua vita.

Lo spirito racchiuso nel Voglio vedere ogni cosa era espressione dell’autentica volontà di penetrare l’essenza di ogni cosa e assumersi la responsabilità delle cose viste. Questa è una verità a dir poco avventata. Tutte le sofferenze o le difficoltà che Oda ha avuto nella sua vita derivavano proprio dall’atto stesso di vedere le cose. Dall’attività del Beheiren fino alla partecipazione, seppur malato, al Tribunale Permanente dei Popoli (seconda sessione sulla violazione dei diritti umani nelle Filippine, che ha avuto luogo in Olanda), Oda visse cercando di portare a compimento le proprie responsabilità verso ciò che aveva visto. Proprio per questo, il viaggio che Oda fece tornando dall’Aia attraverso la Grecia e la Turchia, dove aveva avuto origine la sua letteratura, è diventato l’ultimo suo sofferto viaggio come attivista e allo stesso tempo letterato.

Una volta Oda era considerato dalla sinistra come un conservatore, ma è stato lui a continuare a trattare la questione del sistema della casa imperiale, anche quando stava prevalendo il conformismo. Makoto Oda è rimasto per tutta la vita uno scrittore che non aveva dimenticato le sue responsabilità verso ciò che aveva visto fin da quand’era giovane. L’ultima conversazione avuta con lui mi rivelò quanto fosse profondo l’interesse che aveva per questo tema. In un ospedale di Tokyo dove sarebbe morto due mesi dopo, Oda mi parlò così della letteratura giapponese:

Ritengo che Aru onna (Una donna) di Takeo Arishima sia un’opera di grande valore. In questo romanzo, ci sono anche alcune sue esperienze in America, ti ricordi? Queste esperienze mi ispirano una grande simpatia. Il compagno della protagonista Yōko, un marinaio, quando viene licenziato e pensa di vendere la carta nautica. Ma questa è una cosa strepitosa! Io penso che sia quella di Takeo Arishima la letteratura che nega lo Stato con un simile punto di vista. In altre parole, la sua letteratura affronta degli interessi individuali che non si lasciano intimidire da quelli imperiali. Arishima è unico”.

La voce di Oda era debole, difficile da afferrare, ma la sua passione per la letteratura non si era affatto affievolita. Quando ci siamo stretti la mano, Oda mi ha salutato con il suo consueto e limpido sorriso. Chissà se allora avevo avuto il presentimento che sarebbe stato l’ultimo sorriso che mi avrebbe rivolto.

L’ottimismo di Oda era nato attraversando molte delusioni e sofferenze, era qualcosa di simile a un’opera d'arte. Era frutto della sua volontà fondata sulle sue qualità innate. Per questo il suo ottimismo era pregno di tristezza e malinconia. Ma io per lungo tempo non me ne sono resa conto e abituandomi alla sua dolcezza e al suo ottimismo, temo di aver sprecato questo dono, coltivato come un’opera d'arte da Oda. Ora viv o con un senso di rammarico e di vuoto, creato dalla sua morte. 
 

 

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TUTTO EBBE INIZIO CON L’ARRIVO DEL DISERTORE

 

di Yoshie Sakamoto (regista di documentari televisivi)

 

Mi ricordo vivamente ancor oggi l’impatto e l’euforia di quando aprii il giornale quel 17 dicembre del 1967, nella cucina dell’appartamento dove abitavo. C’era un articolo che parlava dei soldati americani della portaerei “Intrepid” fuggiti all’estero grazie all’aiuto del Beheiren. In mezzo al tavolo della conferenza stampa, era seduto il Signor Makoto Oda. Una sera di alcuni giorni dopo, appena nostro figlio si fu addormentato, il mio compagno Yoshio Honno mi disse con un tono insolito “c’è una cosa di cui ti devo parlare”. Ricordo molto bene la faccia seria che aveva in quel momento, e la tensione che provai.

Si trattava della proposta di nascondere qualche fuggiasco a casa nostra. La richiesta urgente veniva da un suo carissimo amico, Taketomo Takahashi, con cui aveva avuto un breve incontro in una stazione di To kyo. Il giorno seguente arrivò a casa nostra un soldato e con lui abbiamo visto in tv la notizia dell’appello di Oda rivolto ai soldati americani dell’Enterprise di Sasebo, ad abbandonare le truppe.

Da quel momento passarono sei anni, prima della fine della guerra del Vietnam, ma dal giorno in cui quel soldato disertore venne a casa nostra fino alla partenza dell’ultimo soldato disertore dal Giappone, che avvenne nel 1971, trascorsero solo tre anni. Tuttavia, per me fu un periodo incredibilmente lungo. L’arrivo da noi del disertore segnò per me l’inizio di una nuova vita, che è durata per quarant’anni fino a oggi. Quello cui ci avevano messo di fronte questi soldati abbandonando il proprio paese, la famiglia e perfino il proprio futuro, era una questione davvero grave.

La filosofia del Beheiren proposta da Oda ha cambiato drasticamente i valori di una persona come me, una normale ragazza di sinistra. Mi sentivo più leggera, ma nello stesso tempo più determinata.

Ho avuto occasione di incontrare Oda attraverso un coinvolgimento più profondo nell’attività di sostegno ai disertori, ma lui è sempre rimasto per me “l’imperatore Oda”, appellativo usato scherzosamente dai giovani attivisti.

Esisteva una tacita regola all’interno del Beheiren, secondo cui chi era coinvolto direttamente con il supporto dei disertori, doveva evitare di frequentare l’ufficio del Beheiren e di partecipare alle manifestazioni. Per questo con Oda ci incontravamo sempre in posti segreti, dove si nascondevano i soldati o si facevano riunioni strategiche. Oda se ne andava appena si era trovata una soluzione per i problemi.

Il primo incontro con Oda da quando sono diventata regista di documentari avvenne dopo la fine della Guerra del Vietnam, nella sala docenti di una scuola di Tokyo. In seguito mi è capitato di intervistarlo per questioni legate all’istruzione o di organizzare incontri con altre persone tra cui Tokuma Utsunomiya. Non si trattava che di una frequentazione sporadica. Negli anni ’80, io non ero che una dei suoi fan, che apprendeva le notizie sulle sue vicende personali attraverso i media.

Nel 1993, quando l’NHK decise di avviare una serie di programmi sul tema dei viaggi e mi incaricò della realizzazione, chiesi a Oda di partecipare. “Il viaggio del mio cuore nel mondo: Berlino secondo Makoto Oda. Tra la vita e la morte”, che ebbe un grande successo e fu per questo ritrasmesso più volte.

Cominciai a frequentare Oda durante queste riprese, e con lui realizzai numerosi programmi televisivi: “I 50 anni dalla fine della guerra”, “Oda Makoto dialoga con la sua amica America”. Poi ancora “Esiste una guerra giusta?”, “Viaggi e confronti di Oda Makoto”, “Un dialogo di inizio anno tra Makoto Oda e Hisashi Inoue: alla ricerca di un paese dalle dimensioni umane”, e così via. Per realizzare questi programmi abbiamo viaggiato assieme in varie parti degli Stati Uniti e in Europa. Insieme a Oda, alla figlia Nara e a una loro amica Kazuko Kanai, siamo andati perfino in Corea del Nord, anche se qui non siamo riusciti a realizzare un documentario. Era un viag gio per incontrare le zie e i cugini di Nara.

Ho poi partecipato a una comitiva capeggiata da Oda in visita nel Vietnam e ho fatto amicizia anche con la moglie che lui era solito chiamare “la mia compagna di vita” nei suoi scritti. Questa amicizia, che andava oltre il rapporto tra una regista e un protagonista di documentari, era nata probabilmente grazie alla complicità che si creò tra coloro che quarant’anni prima avevano aiutato i disertori in fuga. Durante questo periodo ho anche chiesto l’intervento di Oda per un volume intitolato Tonari ni dassogaiga ita jidai ( Il tempo dei disertori della porta accanto ), di cui io sono una dei curatori. Attraverso Oda ho davvero imparato tante cose perché era una persona molto grande non solo fisicamente ma anche in quanto a dimensione umana, ma ragionava e si esprimeva dal punto di vista di un “piccolo uomo” e la simpatia per le sue posizioni mi portò a condividere diverse azioni al suo fianco. In particolare la sua linea di condotta, “agisco anche da solo, smetto anche da solo” rimase un insegnamento molto importa nte per la mia vita.

Alle prime ore del mattino del 30 luglio del 2007, ricevetti una telefonata da Nara, la figlia di Oda. Io arrivai nella camera dell’ospedale alle 2:20, 15 minuti dopo che Oda era spirato. Le grandi mani di Oda erano ancora calde. Fu l’addio con un maestro di vita.

Ho passato anche oggi tutto il giorno nella sala di registrazione guardando dei filmati su di lui. Si tratta delle parole che lui ha voluto registrare per lasciarle ai posteri, dopo aver saputo di avere ancora poco da vivere, e delle scene che lo traggono mentre scrive nel letto d’ospedale. È stato lo stesso Oda a proporre di filmare queste scene. Questo documentario include anche il corteo dei partecipanti ai funerali e verrà messo in onda dall’NHK nel dicembre del 2007.

Autunno 2007  


 

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LA STUPENDA GRANDE FAMIGLIA DI ODA

  

di Brian Covert (giornalista)

 

Sono numerose le persone che dichiarano di aver ricevuto un’influenza determinante da parte di Oda. Quando parlano di lui, molte persone dicono di aver imparato a scegliere il modo di agire più consono a sé stessi proprio in risposta al suo appello, anziché seguire semplicemente la strada da lui tracciata. Secondo me, chi si è messo in moto dopo aver ricevuto un tale impulso, può considerarsi un membro della sua famiglia in senso allargato.

Venni a sapere di Oda, quando cominciai a lavorare come giornalista in Giappone, a metà degli anni ’80. Da lungo tempo desideravo incontrarmi con lui per ascoltarlo, ma non me ne capitò l’occasione e passò il tempo senza che riuscissi a realizzare questo sogno. Nel 2004 arrivò finalmente questo momento durante un incontro organizzato ad Ashiya, nella prefettura di Hyōgo, tra Oda e un ex soldato americano che si rifiutò di partecipare alla guerra del Vietnam. Feci la sua conoscenza ed ebbi occasione di parlargli, finché poi ci scambiammo i biglietti d’auguri per Capodanno e qualche fax. Nel 2006 chiesi a Oda di poterlo intervistare e andai a trovarlo a casa sua, a Nishinomiya. L’articolo con l’intervista che avevo scritto fu pubblicato online, e io informai via fax Oda dell’indirizzo del sito. Trascorsi due giorni continuandomi a chiedere che cosa ne avrebbe pensato dell’articolo finché alle 14:03 del 16 marzo 2006, dal mio fax uscì un foglio dalla calligrafia ormai a me famigliare, quella di Oda.

Ho letto tutto l’articolo dell’intervista, te ne sono molto grato. È stato molto divertente. È proprio ben fatto, ti ringrazio”. Leggendo questo fax, mi sentii molto sollevato, come se avessi superato un esame.

Il giorno stesso, otto ore dopo, mi arrivò un altro fax.

Ho appena riletto l’articolo dell’intervista e ti voglio ringraziare di nuovo. Credo che sia la migliore intervista che mi abbiano mai fatto. Devi essere orgoglioso di questo lavoro, e lo sono anch’io. Ti ho scritto quest’altro fax per dirtelo. Vieni di nuovo a trovarmi e ne parliamo”.

Non c’è stato niente di meglio delle parole di Oda in questi due fax per sentirmi incoraggiato a continuare a lavorare, anche perché sentivo davvero il suo calore umano.

Durante i suoi funerali, il 4 agosto, lo scrittore Shūichi Katō parlò nel suo discorso dell’eccezionale capacità persuasiva racchiusa nell’appello di Oda. Questi due fax furono davvero un appello insostituibile per me.

Questa intervista fu tradotta in giapponese da Kazuko Kanai e inserita nella raccolta di saggi sulla pace di Oda Makoto Kyū ten ichi ichi to kyūjō ( 11 settembre, articolo nono ), e pubblicata nel novembre 2006. È stata tradotta poi anche in italiano *

Nel giugno del 2006, chiesi a Oda di parlare in inglese agli studenti della mia classe dell’Università Dōshisha di Kyoto e lui accettò molto volentieri. Volevo che gli studenti cominciassero a pensare al proprio presente e al futuro ascoltando le esperienze di guerra di una persona che le aveva vissute in prima persona, al posto di quelle raccontate attraverso i libri di testo o i giornali. In effetti il discorso di Oda diede una notevole impressione ai miei studenti e lui stesso scrisse di questa esperienza all’università nella prima puntata della sua rubrica online.

Dopo la lezione ci salutammo con una stretta di mano, ma non all’occidentale, bensì con un soul shake , una stretta di mano dello spirito, come quelle in uso tra gli afroamericani. Quella fu l’ultima volta che lo vidi.

Oda dal vivo era una persona molto calorosa, che ci accoglieva nel suo cuore con un’immagine lontana da quella spesso provocatoria che dava durante le conferenze.

Oda ha tanti fratelli e sorelle, non solo in Giappone, ma in tutto il mondo. Sono tutte le persone che hanno condiviso delle azioni con lui, o hanno avuto un rapporto d’amicizia, o ancora che si sono attivate dopo aver sentito i sui discorsi o letto qualche suo scritto.

Queste persone assieme formano una stupenda e grande famiglia, piena di amore e rispetto. Mi domando se anch’io sarò considerato membro di questa famiglia. Se così fosse, vorrei rimanerlo per sempre, anche dopo la sua morte.


 

1 . Il nome inglese è Japan “peace for Vietnam” Committee , ma è conosciuto anche con il nome originale di Beheiren, acronimo di “ BEtonamu ni HEIwa o! Shimin RENgo ”. Si tratta di un movimento cittadino giapponese contro la guerra in Vietnam, nato il 24 aprile del 1965 e che è rimasto attivo fino alla fine di gennaio del 1974. Il suo presidente era lo scrittore Makoto Oda, mentre il Segretario Generale era il critico Yūichi Yoshikawa. Si definiva un movimento, non un'organizzazione e, a differenza di molte altre associazioni pacifiste presenti fino ad allora in Giappone, non era legato ai partiti politici esistenti. Caratterizzato da iniziative assai originali sviluppate dalla spontaneità di singoli individui, nel suo periodo d’oro, contava addirittura 390 gruppi sparsi per tutto il Paese. A Tokyo tra il 1968 e il 1969 organizzò grandi manifestazioni con 50 o 60 mila partecipanti.

2 città nota per il suo porto militare, si trova nell'isola di Ky ū sh ū non lontano da Nagasaki

3 Quando The Intrepid , la portaerei americana in servizio durante la guerra del Vietnam, approdò nella base militare americana di Yokosuka, la più grande del Giappone, 4 militari del suo equipaggio disertarono, dicendo di non voler prendere parte all’ingiusta guerra del Vietnam. Il Beheiren aiutò questi 4 uomini facendoli fuggire di nascosto attraverso l’Unione Sovietica, fino alla neutrale Svezia, dove arrivarono sani e salvi.

Questo fatto ebbe un impatto davvero sensazionale, tanto che il New York Times diede la notizia sulla prima pagina a caratteri cubitali. In seguito, il numero di disertori che il Beheiren riuscì a far fuggire all’estero superò i 20 uomini. Mentre il governo giapponese, in base al Patto di Sicurezza nippo-americano, ricercava i disertori americani e collaborava per il loro arresto, il Beheiren faceva evadere i soldati americani all’estero in paesi come la Svezia e la Francia, ricorrendo perfino alla contraffazione dei documenti d'identità.

4 L’8 ottobre del 1957, l'allora primo ministro giapponese Eisaku Satō compì la prima visita ufficiale nella Repubblica del Vietnam del Sud come rappresentante di un paese che non aveva inviato truppe militari per la guerra in corso. Il partito all’opposizione, i sindacati e i movimenti pacifisti erano contrari a questa visita, ma furono soprattutto le Associazioni Autonome Studentesche, le Zengakuren, a organizzare una dimostrazione di protesta nei pressi dell’aeroporto internazionale di Haneda a Tokyo, causando violenti scontri con la squadra antisommossa della polizia. La notizia dei molti arrestati e di un morto, uno studente dell’Università di Kyoto, Hiroaki Yamasaki sconvolse l’opinione pubblica. (Primo incidente di Haneda)

E nel novembre dello stesso anno, il premier Eisaku Satō partì per una visita negli Stati Uniti, provocando altre proteste da parte dei movimenti studenteschi e scatenando dei violenti scontri con le forze della polizia vicino all'aeroporto di Haneda. (Secondo incidente di Haneda)

L’annuncio della fuga dei 4 disertori dell’Intrepid, fatto durante la conferenza stampa indetta dal Beheiren, avvenne invece il 13 novembre, poco prima che l’aereo del primo ministro Satō arrivasse negli Stati Uniti.

5 L’11 novembre del 1967, l’esperantista Chūnoshin Yui (1895-1967) si suicidò dandosi fuoco davanti alla residenza ufficiale del Primo Ministro in partenza per gli Stati Uniti. Si trattava di un atto di protesta contro il contributo del governo di Satō alla guerra in Vietnam, che sconvolse tutti. Nel suo testamento, Yui dichiarava di essersi pentito per aver prestato servizio in una ditta giapponese nella colonia della Manciuria, godendo così dei privilegi ottenuti dall’espansionismo, e contestava la politica del suo paese, che sosteneva gli Stati Uniti nella guerra in Vietnam.

* tradotto e pubblicato dal Centro di documentazione Semi sotto la neve. (n.2 della collana Germogli), Calpestando Aboji e Un sogno bello ed esilarante , Pisa, 2007

* pubblicato dal Centro di documentazione “Semi sotto la neve” nella collana germoglio 1 Brian Covert, Dentro al fumo: A colloquio con Makoto Oda, scrittore e attivista (Pisa, 2007)

Note: http://www.deriveapprodi.org/estesa.php?id=344&stato=novita

Allegati

  • Germoglio n. 4 (365 Kb - Formato pdf)
    Yuichi Yoshikawa, Nobuhiko Matsugi, Marie Miyata, Yoshie Sakamoto, Brian Covert
    La prima traduzione in lingua straniera dell'ultimo romanzo di Makoto Oda "Ichigo ichie - Ogni incontro è irripetibile" sta per uscire dalla casa editrice romana DeriveApprodi in collaborazione con Centro di documentazione. Questo libretto presenta l'autore e il romanzo.

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  • Collana Narrativa Autore Makoto Oda Titolo Ichigo ichie Sottotitolo Ogni incontro è irripetibile Isbn 978-88-89969-52-6 Pagine 368 Prezzo 16,50 euro

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